Il massimo riconoscimento dell'anonimato

"Nel vagone della metropolitana, sfidando lo sferragliamento e altri rumori vari, un musicista di strda, con charango e sikuri, suona a ritmo più che veloce El arriero. Il sikuri sostituisce la voce; il charango l'accompagna, con un proliferare di note ben lontano dalla sobrietà della chitarra creola. Mentalmente ripeto lo straordinario testo di Atahualpa Yupanqui:

Es bandera de niebla su poncho al viento
lo saludan las flautas del pajonal
y animando a la tropa por esos cerros
el arriero va

(Bandiera di nebbia è il suo poncho al vento
lo salutano i flauti del campo irto di stoppie
e incitando la mandria su per quelle alture
va il mulattiere)


Ricordo che anni fa un gruppo di "rock argentino" riciclò El arriero, quasi come chi ammaina una bandiera e poi la issa di nuovo [...].
Nel frattempo, il musicista si precipita verso il famoso ritornello, in cui Atahualpa, come in molte altre sue canzoni, inseriva il messaggio sociale, per definirlo in qualche modo: "Las penas son de nosotros, las vaquitas ajenas" (Le pene sono nostre, le vacche sono di altri). Il musicista non canta il testo perché è già abbastanza occupato a suonare il sikuri e il charango in contemporanea.
Tuttavia, la sua versione di El arriero regge dignitosamente, forse perché si tratta di un tema miracoloso e indistruttibile, di quelli che diventano grandi classici come Night and day o Yesterday, che sopravvivono alle mode, agli arrangiamenti, alle banalizzazioni e resistono come se fossero stati scolpiti con un colpo solo nel basalto. E nonostante abbiano la perfezione di una lucida sfera, ammettono che ci si lavori sopra, accettano varianti e miscugli di stili, e si lasciano persino suonare con strumenti non previsti dall'idea iniziale.
Sono canzoni che, anche se vengono catturate dal mercato o sono addirittura state pensate per questo, resistono alla scomparsa che il mercato impone ogni giorno per rinnovare l'offerta e dare la sensazione che tutto cominci sempre da zero. El arriero e molti altri temi musicali resistono a tutto, per fortuna, e tutti i musicisti, da Gato Barbieri ai Divididos, possono tirarne fuori qualcosa di nuovo. Sono quei testi che nel jazz si chiamano standard, cioè il luogo comune, nel senso migliore del termine, dove l'inventiva e la tradizione dialogano oppure litigano.
Mentre pensavo a queste cose, momentaneamente riconciliata con il mondo, il musicista suonò l'ultima nota. E su questa, cominciando già a spostarsi nel vagone per raccogliere il contributo dei passeggeri, disse: "Coraggio, un applauso a questa canzone dei Divididos!". E finalmente approdai.
Quella frase era una prova inconfutabile, più di tutto ciò a cui avevo pensato mentre ascoltavo. I Divididos erano un gruppo rock ed El arriero non aveva padrone: oggi era dei Divididos e se domani un'altra band l'avesse suonata se ne sarebbe appropriata a sua volta.
Se Atahualpa voleva essere un musicista folcloristico, ciò che avevo appena sentito dimostrava che c'era riuscito. Per due motivi: in primo luogo perché ormai non si sapeva più che era lui l'autore della canzone, e il suo diritto di proprietà si era dissipato nella misura in cui la melodia si trasformava in standard, cioè qualcosa che è lì sia per i Divididos sia per il suonatore di strada. In secondo luogo perché questo anonimato e l'erronea attribuzione della paternità ai Divididos indicavano che la musica aveva già percorso un cammino così lungo da condurla a quello spazio di consacrazione che è l'oblio dell'origine. Le musiche che conosciamo meglio sono proprio quelle della cui storia ci disinteressiamo, perché fanno parte di un patrimonio sonoro, resistono all'andirivieni delle mode e alla fame cannibale del mercato. Atahualpa o Cole Porter hanno gloria assicurata, più duratura del ricordo del loro nome, perché si tratta del più sublime di tutti gli anonimati, quello che non ha origine nell'oblio, bensì nella moltiplicazione del ricordo.
El arriero per il musicista che l'ha imparata ascoltando la versione dei Divididos e probabilmente per molti di coloro che erano presenti nel vagone della metropolitana, appartiene a questo secondo gruppo.
Domani...chi lo sa?"


Da un racconto di Beatriz Sarlo apparso su Internazionale n°1288 anno 26
Titolo originale del racconto: La ciudad, sus músicas, sus músicos.
La traduzione è di Sara Cavarero.


Questo è uno spaccato di Buenos Aires, ma non vi viene subito in mente Besame mucho suonata con la fisarmonica?


Alessandro Gottardo Shout "capitani coraggiosi"


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