E neanche se mi pagano, ma tanto non ti pagano

Stamattina in metro, andando a lavoro, ho incrociato un gruppo di volontari Expo.
Ce l'hanno scritto chiaramente sulla maglietta, che sono volontari. Da non confondersi con il vero staff, con quelli che lavorano…
Parlavano di turni massacranti, di amici che avevano già lasciato e che erano stati per questo “minacciati” di non venire mai assunti per nessuna attività legata a Expo, parlavano di patti non rispettati.
E mentre li ascoltavo lamentarsi, delusi e al contempo indignati, ma comunque in tempo per il turno mattutino, mi chiedevo quanto deve essersi distorta la coscienza di classe per aver prodotto creature che, seppur libere, accettano forme moderne di schiavitù regalando il proprio tempo (opportunamente organizzato secondo orari e turni) ad un'organizzazione mondiale che millanta di occuparsi della fame nel mondo, ma attorno alla quale girano milioni di euro e vari delinquenti.
Poi una ragazza ha detto una frase che mi ha scioccata: “Tanto pure se te ne vai cos'hai dimostrato? Sai quanti ne trovano come te?”
Questa frase è sempre stata detta per giustificare contratti al ribasso, l'assenza di diritti, la necessità di tenersi stretti un lavoro pur che sia, “che al giorno d'oggi…”
Ma ormai ci hanno scaraventato in un inferno talmente umiliante, ci hanno talmente violentati nell'autostima, che anche l'IPOTESI di un lavoro, va tenuta stretta e per farlo dobbiamo essere gli schiavi migliori, quelli col sorriso, perché se sorridiamo e ci spacchiamo il culo gratis, LORO, poi, sceglieranno noi.
Ma che potere contrattuale può avere, in un eventuale contratto futuro, una persona che fino a ieri ha lavorato gratis?
Perché questi volontari non sono persone entusiaste di Expo o che credono alla causa “umanitaria” e sono onorate di prestare il proprio tempo per un così grande e giusto evento.
No. Questi volontari sono spesso giovanissimi appena usciti dalle scuole o disoccupati, che riconoscono, in questo, uno dei regolari canali di accesso al lavoro odierno: lavorare gratis.
Come nel secolo scorso. Quando con la scusa d'insegnarti un mestiere, il padrone ti faceva lavorare senza compenso.
Con la differenza che a quel tempo almeno un mestiere lo imparavi davvero.
Ora impari a sorridere a comando, a non ammalarti mai, a convivere con ritmi di vita innaturali, ad accettare, come purga all'ardire delle generazioni passate, di parlare di posto fisso, una precarietà che si estende ormai a quasi ogni ambito della tua esistenza.

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