La persistenza della memoria

In giornate come questa mi tornano alla memoria lacrime fuoriose, abbracci da strapparsi via l’anima, disperazione, consapevolezza del non ritorno dopo mesi di sospensioni.
“Ti sposi?”
“No, peggio”
E lo sguardo basso, e l’ammissione disarmante di non aver fatto altro che pensare a come dirmelo.
E poi i “Voglio andare a casa da sola” ed era notte e tu eri preoccupatissimo e mi hai seguita con la macchina e il senso di colpa ti opprimeva.
E anche a me.
E poi le promesse, le chiamate e io che vedevo il tuo nome apparire sul display e piangevo e non ti rispondevo e allora le chiamate a mia sorella e alla mia coinquilina…
E il fiato sospeso e quel filo che non si riusciva a recidere.
Come se vivesse di vita propria in un universo parallelo dove tutto era successo nel momento giusto e le cose erano andate come dovevano andare.
Certi amori sono violenti.
Picchi di paradiso che toglie il fiato e abissi di dolore che scortica la pelle.
Non conoscono serenità.
E forse non sono destinati a durare per sempre. Non sono fatti per una casa, una famiglia e un giardino.
Nessun uomo si merita di soffrire tanto per tutta la vita, nemmeno a cambio di sprazzi di luminosa e altrimenti inconoscibile, felicità.
Ma questi amori violenti, una volta vissuti, lasciano cicatrici insanabili.
Che non si curano mai.
Ma si impara a leccarsi le ferite, di tanto in tanto.
Buttar fuori.
E andare avanti.
Qualcuno è più bravo di altri.

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