Il sasso

Si era seduto sulle pietre, a gambe incrociate, a pochi metri dalla battigia.
Si rigirava tra le mani un sasso, raccolto distrattamente, come un automatismo. 
Non puoi farcela da seduto, gli aveva detto il sasso. Un sasso che parla, questa sì che è bella. Ma a ben vedere, se potessimo dar forma al ricordo e colorare il pensiero, vedremmo apparire dapprima come fantasma, poi sempre più vivido, un uomo. Un uomo che somiglia all'uomo seduto, che nel frattempo è mutato in una versione molto più giovane di sé. 
Non puoi farcela da seduto, dice l’uomo riportando ordine nelle cose. Non che un ricordo possa apparire visibile agli occhi, sia chiaro, ma è comunque più accettabile di un sasso che parla, o no? Eppure nemmeno questo è reale e dunque occorre sottostare alla legge che nessuna legge vale. 
L’uomo del ricordo è in piedi, raccoglie un sasso eburneo, levigatissimo, una sola striatura corvina. Se lo rigira tra le mani per qualche secondo, poi, la velocità di un gesto chirurgico inghiotte la sua mano rivelando solo il sasso, in volo radente, a baciare la superficie dell’acqua.
Un salto.
L’uomo seduto è ora in piedi, solo, quando si sarà alzato?
Due.
Non puoi farcela da seduto!
Tre.
Un bimbetto si tocca la coscia. Qualcosa lo ha colpito. Si gira verso il mare e raccoglie un sasso eburneo, levigatissimo, una sola striatura corvina. 
Ed è incredibile quanto gli rassomigli.




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