Non piango più

Quando siamo piccoli piangiamo per qualunque cosa.
Nasciamo piangendo, piangiamo se abbiamo fame, se abbiamo sonno, se abbiamo paura. Piangiamo se cadiamo (anche se non ci siamo fatti niente), piangiamo se ci sgridano, piangiamo quando la mamma ci lascia all'asilo e va a lavoro, piangiamo se all'edicola hanno finito le figurine che compriamo ogni lunedì.
E piangere è un atto involontario. Ci viene il magone in gola, quel groppo che a volte fa quasi male, gli occhi diventano lucidi e all'improvviso le lacrime spingono per uscire. È qualcosa di naturale, una reazione spontanea come arrossire.
E in qualche modo sappiamo che quella reazione involontaria e spontanea, ne genera un'altra, in chi abbiamo accanto. Genera la cura, l'ascolto, genera un abbraccio, una carezza. Ed è quello che forse, inconsciamente, cerchiamo, quando scoppiamo a piangere. Tutti, più o meno, sappiamo cosa fare davanti a un bimbo che piange: lo si prende in braccio, lo si coccola un po’, si da un bacino alla parte che fa male…lo si cura.
Lo si accudisce.
Gli si fa capire che non è solo.
Poi cambia qualcosa. Da adulti (e più per gli uomini che le donne) piangere diventa sconveniente. Imbarazzante per chi lo fa, ma anche per chi si trova con lui in quel momento. Da adulti non sappiamo gestire un altro adulto che piange, c'è qualcosa che stona, nessuno piange a meno di aver subito un lutto o una simile tragedia e a volte nemmeno in quei casi si permette di  piangere.
Da adulti c'è il contegno. Pare male scoppiare in lacrime davanti a uno sconosciuto o anche davanti a un amico che comunque non saprebbe che pesci pigliare. Perché ci siamo disabituati all'ascolto, all'accudimento, alla cura.
Degli altri, ma soprattutto di noi stessi.
C'è un altro verbo che si costruisce nello stesso modo di piangere, con la locuzione scoppiare a ed è il suo opposto: ridere. Ma da piccoli si ride se si vede qualcosa di buffo se papà ci fa il solletico o la mamma le pernacchie sulla pancia. Da piccoli non sappiamo bene perché ridiamo, non padroneggiamo ancora il concetto di ironia che acquisiamo, compiutamente, da adulti.
Ma se la risata segue un suo corso naturale, nasce spontanea e poi diviene consapevole, il pianto , da adulti, sfrutta subito la competenza appena acquisita e, ironia della sorte, invece che diventare anch'esso consapevole, si fa celato, silenzioso, schernito.
E la cosa veramente ironica è che a volte ridiamo per finta in compagnia e poi piangiamo per davvero quando poi siamo da soli.

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