Adimensionalità

Sono da sempre una persona che di rado prende per oro colato quel che le viene detto e che tende, piuttosto, a mettere in dubbio tutto, indagando il come e il perché delle cose e sfociando spesso in atteggiamenti apparentemente gratuitamente polemici.
La me seienne non aveva certo preso molto bene il concetto di ASSIOMA in geometria, in quanto non poteva tollerare l’esistenza di principi primitivi e indimostrabili.
Euclide mi stava quindi molto antipatico (antipatia che perduró fino al liceo, quando, per la maturità, di matematica portai una tesina sulle geometrie non-euclidee) mi sembrava un nerd spocchiosetto che aveva buttato lì cinque idee dicendo: “È così e basta” e mi chiedevo come fosse possibile che la comunità scientifica avesse accettato dei dogmi simili senza fiatare.
Un bel giorno, determinata a smascherare quell’incompetente, presi un foglio bianco, vi disegnai un punto con un pennarello rosso, poi presi una matita e cominciai a tracciare rette che passavano per quel punto.
Ne tracciai talmente tante da coprire l’intera porzione di foglio intorno a quel punto, che risultava, ormai, completamente nera di matita.
Fiera della mia dimostrazione empirica andai alla cattedra e mostrai il mio lavoro alla maestra, sfidandola: “Ecco, queste sono tutte le rette che possono passare per quel punto. Metticene un’altra, su”.
La mia buona, saggia e santa maestra dell’epoca sorrise e mi chiese di tenere il foglio in verticale, rivolto verso di lei. Prese quindi una matita ben appuntita e forò il foglio esattamente in corrispondenza del mio puntino rosso. Quindi prese un pezzo di spago e lo inserì nel foro appena creato, dando così tridimensionalità al mio ingenuo disegno.
Ecco fatto”, mi disse poi, tenendo teso lo spago inserito nel foglio.
Lo schiaffo morale non fu mai bruciante come l’ardore per l’indagine che quell’episodio mi instillò.

Commenti