Foglie

Camminava con la faccia all'insù, ché a guardare il cielo ci si perdeva volentieri, sempre, soprattutto quando facevano quelle splendide giornate dove il sole sembrava volertela sbattere proprio sotto il naso, tutta quella bellezza.
Era innamorata di quella città, ma era innamorata come ci si innamora da adulti, dolorosamente, con la consapevolezza di chi ha imparato che le cose ti tradiscono, son candele che si consumano e innescano notti nere, dalle quali poi è difficile svegliarsi.
Ci si innamora con diffidenza, dopo.
Con la lentezza necessaria alla percezione di quella sicurezza di potersi mettere in salvo, in ogni momento.
Ci si abbandona per un attimo, a sfiorare la superficie della lava che ribolle e ci si avvicina quel tanto che basta per ricordarsi di quanto scotti, dopo.

E camminava, faccia all'insù, col sorriso della spensieratezza verso il parco dietro casa, sconfinato, ancora non invaso dalle orde fameliche dei turisti del centro, buoni solo a fagocitare cibo a tutte le ore, scattare foto storte che mai nessuno rivedrà e inquinare, con un fastidioso brusio di sottofondo, il silenzio circostante che, ad ascoltarlo, ti riempiva i polmoni e l'anima.
Quel parco, invece, disseminato di antichi acquedotti romani, opportunamente collocato nella periferia più a Sud della città, le dava ancora una sensazione primordiale di stabilità, di qualcosa che sopravvive al tempo che va avanti.
Sfrontato, nella sua erba alta, torrido d'estate, senza l'ombra di una panchina per dar ristoro alle flaccide gambe di chi non ha gambe per camminare, disordinato, con quegli acquedotti piazzati in mezzo alla via, da costeggiare, o scavalcare.
Lei amava cavalcarli, invece.
Aveva scoperto che c'era un punto, a una delle estremità del parco, dove l'altezza dell'acquedotto digradava dolcemente, fino ad arrivare quasi allo stesso livello dell'erba, ed era possibile salirci sopra e cominciare a percorrerlo, osservando come la distesa verde lentamente s'allontanava, e tutto rimpiccioliva, mentre lei guardava sempre in alto, al cielo, e respirava a fondo, e piano piano superava le chiome degli alberi più bassi, e le stradine sterrate dove giravano i ciclisti si facevano sempre più strette e sinuose, e sembravano quasi piccoli ruscelli dorati e più andava avanti, più le sembrava di astrarsi dai bambini del quartiere che giocavano a pallone, dalle coppiette sotto gli alberi abbracciate a tentare di uccidere i vuoti, dai solitari, in compagnia di libri e musica che glielo vedevi in faccia che si chiedevano se erano ancora vivi.
E lei lassù, staccata da sé, ricettacolo dei pensieri dei pochi visitatori di quel parco di borgata, come se si convogliassero simbolicamente tutti lassù, in lei, sopra quell'acquedotto in piedi da secoli.
E le sembrava di essere così leggera da potersene volare con il vento, per liberare tutti quei pensieri intricati, e sollevare quelle anime pesanti, coi piedi ancorati a terra.

Fantasticava.
Sempre.
E pensava alla morte.
Si comincia sempre a pensare a queste cose, dopo.
A volte si fissava a guardare quello che le accadeva intorno.
Si fermava e ascoltava. Osservava la città che si muoveva.
Il brulicare della gente, le macchine, il vento, gli alberi. E si crogiolava nella sensazione straniante d'immaginarsi morire. Si perdeva in lunghe elucubrazioni sulla piccolezza della sua esistenza rispetto all'infinito del cosmo, affascinata dallo stesso concetto di infinito, concretamente inconcepibile da menti finite, come quelle umane.
Le piacevano questo genere di contraddizioni, la stimolavano a sentire, unico modo in cui imparava la vita.
Le capitava spesso quando era in autobus.
Amava gli autobus e in generale tutti i mezzi di superficie.
Il treno!
Come gioiva quando le capitava di fare un viaggio in treno.
S'immaginava i treni come luoghi di sospensione della realtà, alterati sia spazialmente che temporalmente, portali su quello spazio e tempo infiniti che la fisica c'insegna. Non sei mai in un posto specifico, quando sei sul treno, il movimento ti emancipa dalle normali leggi dello spazio, quel che accade sul treno è come se non si compisse finché il mezzo non giunge a destinazione, come se il movimento stesso ti tenesse in una sorta di continuum temporale, dove tutto può essere ancora o non essere più, ma niente è nel momento.
Anche per l'autobus era così, in un certo senso, ma i viaggi in autobus erano sempre troppo brevi perché le scattasse il meccanismo astrattivo che la rendeva così evanescente.

E quel giorno, nel tornare a casa, sottomano il diario su cui appuntava le sue esplorazioni, e le lacrime improvvise e i colpi al cuore e le belle atmosfere, quel giorno si era fermata qualche minuto davanti al portone di casa, divelto, impudico delatore di quell'androne ormai fatiscente, che infatti stavano ristrutturando da mesi; s'era fermata a raccogliere i dettagli, e aveva osservato per l'ultima volta il cane dei parrucchieri sotto casa, che si prendeva le coccole della portinaia, sempre fuori, con i guanti rosa, a chiacchierare con le vicine; aveva respirato il profumo delle foglie bagnate d'autunno cercando di mutarsi in scultrice e modellare l'immagine di quella via come creta impalpabile, fantasticando di farne una di quelle bocce con dentro la neve, solo che al posto della neve ci sarebbero state le foglie. Tante piccole foglioline rosse, gialle e marroni, di quell'autunno tiepido, che le spezzava il cuore.
Al parco ne aveva raccolta una.
E l'aveva messa nel diario.
"Camminerò e non mi volterò.
Mi guarderai le spalle.
Mi vedrai allontanarmi finché non sparirò.
Mi chiamerai.
Già ti sento.
Ma non mi volterò.
E' la mia libbra di carne
Senza un goccio di sangue".


Explicit:

Fammi innamorare di Milano.
Altrimenti la odierò.
Ché non son capace di passioni tiepide.

Commenti

  1. Se chiudo gli occhi adesso, sono già lì. In primavera, naturalmente. Una di quelle giornate tiepide del tipo "O puliamo casa, o andiamo a farci un giro". E 'na ricca carbonara. E du' coppiette.
    Grazie.

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  2. Sono felice di avere scoperto la tua scrittura! Grazie!

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  3. Dipende tutto dalle coppiette, ne sono certa.
    Sono in crisi d'astinenza...

    Nora, grazie a te!

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