I 10 libri da leggere tra Agosto e Settembre!

Dice: perché proprio tra Agosto e Settembre?
Eh perché io volevo fare un bell'articolo con i consigli letterari per l'estate, ma poi Giugno è andato, Luglio pure e visto che di estate ormai ne resta un mese e mezzo scarso, giocoforza questi libri finirete di leggerli in autunno.
Oh, a meno che non siate bravissimi/e e non li finiate entro l'equinozio d'autunno, ma non volevo mettervi ansia.
E poi "I 10 libri da leggere entro l'equinozio di autunno" è un titolo con poco appeal, mi sa.

Ma andiamo a incominciare!

Un giano bifronte dalle fattezze di Adolf Hitler posto a salvaguardia della porta tra il Bene e il Male.
No, non è l'incipit di un fantasy distopico di sotto serie Z, ve lo giuro.
Il libro è una sorta di lungo racconto biforcato, in cui l'autore sdoppia la persona di Hitler e costruisce una storia parallela, inventata, che però scorre accanto a quella reale, contemporaneamente.
L'8 ottobre del 1908 Adolf H. viene ammesso all'Accademia di Belle Arti e comincia la sua carriera di pittore. E mentre la storia dell'altro Adolf Hitler, quello che l'8 ottobre del 1908 non viene ammesso all'Accademia di Belle Arti, scorre in parallelo, il primo, disgustato dalla Grande Guerra, si trasferisce a Parigi, frequenta gli artisti di avanguardia a Montparnasse e conduce una vita lontana da quella Germania che lentamente sta cadendo nelle mani dei nazisti.
A metà tra la ricostruzione storica e l'esercizio di stile, in questo libro Schmitt immagina una storia diversa, ben raccontata, mai assolutoria e congegnata in modo davvero sorprendente. 
Il male è una qualità ontologica di alcuni e non di altri? O è il caso che lo conduce sulla via, potenzialmente, di chiunque? O si tratta di una combinazione delle due cose?
Pur senza la velleità di dare una risposta, Schmitt ci aiuta a porci, quantomeno, la domanda. 
Di una cosa è sicuro l'autore: "Un uomo è il prodotto di scelte e di circostanze. Nessuno ha il potere sulle circostanze, ma tutti hanno il potere delle proprie scelte".


Inge Lohmark, arcigna e intransigente professoressa di biologia, è convinta che la concorrenza tra le specie e la capacità di adattamento siano tutto nella vita. Ironicamente insegna nell'istituto superiore Darwin in una sperduta cittadina afflitta da un preoccupante calo delle nascita, collocata nell'hinterland della Pomerania Anteriore, territorio dell'ex DDR. Nel suo delirio darwinistico a tutti i costi, nega emozioni e compassione, perciò non aiuta né incoraggia gli studenti più lenti, perché li considera parassiti del corpo della classe, né difende i più deboli, perché la selezione naturale è il meccanismo aureo per l'evoluzione della specie. La natura è crudele, ma perfetta, secondo Inge, e soprattutto è incessantemente dedita alla sua stessa sopravvivenza, che dovrebbe essere il nostro unico fine come specie.
Non c'è tempo, né necessità di salvare chi nasce storto, anzi, sarebbe un terribile errore farlo, perché ci indeboliremmo.
Una inquietante fotografia del crudele ed estremo razionalismo di un personaggio dai tratti sicuramente estremizzati, ma che non mi sento di considerare troppo macchiettistico considerati i tempi che corrono.
La prosa alterna parti descrittive, anche fin troppo dettagliate, al flusso di coscienza della professoressa che taglia con l'accetta la realtà composita e imperfetta della sua classe e della sua intera vita. Lungo la vicenda accadrà qualcosa che piano piano le sbriciolerà da dentro tutte le convinzioni su cui ha basato anni di insegnamento.
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Questo libro, per chi mi conosce, è molto "da me" soprattutto in questo periodo luddista della mia vita.
Si tratta di un'opera del 1980, anche se pochi anni fa lo ha ripubblicato la Minimum Fax nell'edizione che vedete nell'immagine qui accanto che è l'unica attualmente in commercio (a meno di circuiti dell'usato).
New York 2467. L'umanità è a un passo dall'estinzione dopo aver raggiunto l'apice dell'individualismo più estremo: ha abolito la famiglia, nessuno fa più figli, la coabitazione è vietata e ogni persona è costantemente sotto l'effetto di un mix di psicofarmaci e antidepressivi. I suicidi sono all'ordine del giorno e tutte le decisioni sono state demandate ai robot che ormai da generazioni governano il mondo. L'aver completamente abdicato a ogni forma di sovranità umana in nome delle comodità, ha gradualmente reso tutta l'umanità analfabeta e sostanzialmente succube dell'autorità dei robot-vigilanti.
Il racconto si incentra sulle vicende legate alla vita di tre personaggi: un androide dai sentimenti umani che vorrebbe porre fine alla sua vita, ma la sua programmazione glielo impedisce; un professore universitario che riscopre la lettura e con essa una possibilità di riscatto e una donna che sin da piccola ha rifiutato di assumere droghe per restare lucida e attenta sulla realtà.
Letto oggi, forse, apparirà un po' ingenuo e certamente superato, inoltre gli effetti della tecnologia sulle nostre vite sono chiaramente estremizzati, ma resta una distopia avvincente e ancora in grado di stimolare molte riflessioni in un parallelismo con l'umanità post-internet che forse non è tanto diversa da quella che immaginava Tevis nel 1980.


In uno spazio senza nome, ma dalle suggestioni egiziane, a seguito di una sciagura che il popolo chiama i Disgraziati Eventi, si comincia a formare una fila di persone che per i più svariati motivi aspettano impazienti e speranzose davanti a una Porta. Il potere è un concetto astratto prima che un esercizio concreto. Non occorre uno strumento preciso per detenerlo, per questo anche la Porta può incarnarlo. Se non detieni il potere sei sempre potenzialmente dalla parte del torto, perché è chi lo detiene a determinare i requisiti che è necessario possedere per avere ragione.
E in questo libro è la Porta ad avere il potere di risolvere o condannare, concedere o revocare, far vivere o lasciar morire. I questuanti che si assiepano in una Fila sempre più lunga e affollata sono costretti a fare una richiesta alla Porta per ogni cosa: mangiare, spostarsi, lavorare, andare a scuola, addirittura essere curati. La Porta rilascia un documento per ogni richiesta con l'esito della stessa senza seguire nessun criterio comprensibile o prevedibile nel soddisfare o nel rigettare la richiesta.
In un racconto cupo e disincantato, che riflette sul potere autoritario, si sentono gli echi della disillusione post-Primavere Arabe che dilania il mondo arabo ostaggio di una scelta impossibile tra il lottare senza speranza contro le crudeltà e le follie degli autoritarismi o l'abbandonare la propria terra nel sogno disperato di libertà.


Questo è uno dei miei libri preferiti di sempre. Mi venne regalato qualche mese prima che io cominciassi un percorso lavorativo che ha fatto esplodere, dentro di me, una serie di questioni che avevo fino ad allora toccato solo tangenzialmente nella mia vita, contribuendo ad alimentare la mia coscienza di classe.
Cito parte della dedica che mi venne fatta perché coglie sicuramente il significato più profondo di questa lettura: "...perché la questione del lavoro è il nodo (al momento gordiano) cruciale del consorzio umano. Lo è e lo sarà sempre. E Volponi lo sapeva e ne sapeva scrivere".
Albino Saluggia, tormentato dalla solitudine sin dalla giovane età, ha combattuto nella Seconda Guerra Mondiale, è stato prigioniero in Germania mentre era ammalato di tubercolosi polmonare. Tornato in Italia e assunto da una grande fabbrica del Nord, Albino s'illude di poter finalmente trovare la serenità e con essa cambiare vita. Ma l'ingresso in Fabbrica, a dispetto delle aspettative, non gli consentirà niente di tutto questo.
Racconto di fabbrica, uscito nel 1962 ed estremamente rappresentativo della narrativa italiana del dopoguerra (che, a parer mio, andrebbe assolutamente recuperata, soprattutto nelle scuole), il romanzo tratta dell'alienazione lavorativa e dell'intossicazione degli operai e delle operaie con la narrazione e con le logiche soggiacenti alla vita della Fabbrica.
La prosa è scorrevole, nonostante la vicenda sia piuttosto lenta, ve lo dico in tutta sincerità, ma induce una serie di riflessioni, anche sulla propria vita, anche se non si lavora in Fabbrica, che a me hanno permesso, tra le altre cose, di capire meglio alcune dinamiche della vita lavorativa, dinamiche che spesso subiamo o delle quali siamo attori e attrici senza nemmeno rendercene conto.


Questo libro ve l'ho messo in lista anche se non mi ha convinta del tutto perché mi ha dato l'idea che l'autrice abbia avuto un'idea geniale, ma non abbia saputo svilupparla appieno. Sembra più un lungo racconto che un libro, in effetti il testo è anche molto corto, mentre secondo me c'erano abbastanza idee per scrivere un bel tomo. In un Paese senza nome dove le persone si aggirano come in preda ad un'apatia continua, la nuova droga sociale è la lettura. Il governo organizza sessioni di letture pubbliche negli stadi dove si riversano fiumi di gente che, affamate di emozioni, ascoltano recitare un attore, che elargisce loro brani tratti dai più svariati libri, di qualsivoglia genere letterario. Le passioni fluiscono, le paure vengono a galla, la rabbia, la disperazione, tutto viene esacerbato durante le letture pubbliche in una catarsi che libera ogni persona dal peso delle proprie emozioni...fino all'adunanza successiva. La circolazione dei libri e la lettura privata sono proibite, essendo capace di far scaturire una tale potenza, la lettura può operarsi solo in maniera controllata, opportunamente coordinata e sorvegliata dalla polizia, i cui agenti, per mantenersi liberi e sobri, sono scelti tra gli analfabeti, persone immuni al potere della parola scritta e dunque incapaci di lasciarsi andare alle emozioni, freddi e razionali. Ma quando uno di questi agenti viene ferito durante un'adunanza e viene ricoverato in ospedale, si produce un incontro che stravolgerà la storia.
Si legge veramente velocemente, anche in un pomeriggio. Però l'idea è davvero bella.


Questo è l'ultimo libro di narrativa della lista, poi passiamo alla saggistica. Di questo ho letto solo il primo capitolo per ora, ma è stato abbastanza una folgorazione. L'ho comprato pochissimo tempo fa attirata dal titolo (che mi ha rimandata subito a Saramago) e dopo aver letto la quarta di copertina mi sono definitivamente convinta. Non posso ancora mettere una vera e propria recensione e soprattutto non so ancora se mi piacerà fino alla fine, anche se le premesse sono ottime, quindi per questo libro mi limito a copiarvi la quarta di copertina, che poi è il motivo per cui l'ho preso.
"Se la storia di Gesù viene raccontata - come accade in questo romanzo - da Giuda, il più denigrato dei protagonisti, l'ansia di ascoltare la sua verità è come quella che si prova in tribunale quando infine si dà la parola all'imputato.
Giuda è un ricco e colto mercante, imbevuto di scetticismo ellenistico. Inviato per affari in Palestina si innamora di Maria, una giovane bella e devota a Gesù, e per amor suo entra nell'ambiente dei seguaci del 'rabbi'. Lo seguirà fino alla crocifissione, diviso tra il fascino per il messaggio di pace e per i poteri soprannaturali del Messia, e un distacco verso chi spesso gli appare solo come uno dei tanti predicatori visionari che allora percorrevano le vie di un agitato Vicino Oriente.
L'autore polacco Henryk Panas, servendosi con rigore di tutte le fonti al di fuori della Sacra Scrittura, ha creato un'opera di sorprendente solidità storica e teorica
".
Vi saprò dire e, se scegliete di leggerlo anche voi, sappiatemi dire!

E poi tre saggi.
Vi giuro che non sono pesanti, però!

"Fare filosofia" dicono i due titolari della casa editrice Tlon che ha pubblicato recentemente questo libro "aiuta a piazzare punti interrogativi alla fine delle parole, come fossero esplosivi. Non più 'si fa così', ma 'si fa così?', non più 'è sempre stato così', ma 'è sempre stato così?'. In questo modo ogni preconcetto esplode e si aprono passaggi segreti pensabili e altrimenti invisibili".
Metto subito in pratica questo splendido principio e invece che asserire: questo è un libro per le donne, mi chiedo: questo è un libro per le donne? Sicuramente incentrandosi sull'essere donna e sul come liberarsi di certi preconcetti (a volte auto inflitti) è un libro pensato prevalentemente per un pubblico femminile dal momento che anche gli otto ritratti contenuti all'interno sono ritratti di donna, ma del resto, noi non siamo sempre state abituate a leggere e immedesimarci in modelli letterari/storici/filosofici, ecc.. maschili? E non ci è sempre sembrato normale? Quindi anche questo libro può forse essere godibile anche per un uomo, non foss'altro che per cambiare punto di vista. Oppure è semplicemente venuto il momento di tirare fuori dal dimenticatoio anche tutti i modelli femminili che hanno fatto più fatica ad affermarsi o spesso sono stati deliberatamente gettati nel dimenticatoio. Una lettura interessante e certamente edificante per scandagliare i meccanismi che ci circondano e ci intrappolano.
Io, poi, temo di non esserlo proprio mai stata una "brava bambina"...


Un saggio delicatissimo sul senso dell'aspettare.
Quanto tempo passiamo complessivamente ad attendere qualcosa? Dalle cose più piccole: che sia pronta la pasta, che passi l'autobus, che arrivino le ferie, a quelle più complesse, che ci mettono a volte quasi in una sorta di sospensione rispetto a tutto il resto: aspettiamo un amore, l'esito di un esame medico, aspettiamo di avere un buon lavoro per comprare la casa, aspettiamo di avere la casa per cercare un figlio...
Passiamo una gran parte della nostra vita, a volte senza nemmeno rendercene conto, in quello spazio di tempo sospeso in cui qualcosa che potrebbe compiersi come no, non si è ancora compiuto. Viviamo in bilico tra la certezza attuale che ci imporrebbe di smettere di attendere qualcosa che forse non arriverà mai e il dubbio che se aspettassimo ancora un po', potrebbe invece davvero accadere quella cosa che stiamo aspettando.
Se continuare ad aspettare o rassegnarsi è una scelta che di volta in volta dipende da un numero incommensurabile di fattori ed è comunque sempre soggettiva, quindi nessuno potrebbe dire con certezza quale delle due strade è meglio percorrere. "L'unica certezza" scrive l'autrice "è che il tempo di chi aspetta è un dono da coltivare con cura".


Questo è il libro forse meno estivo di questa lista. Ma Luciano Gallino, purtroppo venuto a mancare nel 2015, scriveva in modo estremamente comprensibile e potabile anche per chi non s'intende strettamente di economia.
Questo libro parte da una critica al concetto di lavoro flessibile, che da promessa miracolosa si è trasformato nell'arma migliore per smantellare le tutele del lavoro, per poi svilupparne gli effetti concreti nella vita dei lavoratori e delle lavoratrici. 
Vengono descritte quattro macro categorie di forme di lavoro analizzandone poi, per ciascuna, gli effetti della flessibilità. 
"La flessibilità produce profonde diseguaglianze e ha costi personali e sociali che non si possono sottacere. Costa prospettive di carriera professionale. Costa percorsi formativi interrotti. Costa rapporti familiari instabili. Costa fatica fisica e nervosa per il continuo riadattamento a un nuovo contesto. Ma ancor di più costa alla persona, per la sensazione rinnovata ogni giorno che la propria esistenza dipenda da altri. Costa la certezza amara che non è possibile guidare la propria vita come si vorrebbe, o come si pensa di avere il diritto di fare. Costa la comprensione che la libertà, alla prova dei fatti è una parola priva di senso".
Questo saggio è del 2014 quindi forse sulla parte prettamente giuridico-economica è ormai superato, ma sulla parte teorica resta ancora un validissimo strumento di analisi della società odierna.


Bene ragazzi e ragazze, vi ho dato la mia decina di libri per l'estate, fatemi sapere se ne leggete qualcuno e in caso affermativo, mi raccomando, mandate le recensioni per la domenica!!!

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