Cecità - José Saramago

Cecità
José Saramago

GENERE: Romanzo distopico

PAGINE: 276

PRIMA EDIZIONE: 1995

CITAZIONE:  "E adesso cosa facciamo, la lasciamo qui, Non possiamo sotterrarla nella strada, non abbiamo niente con cui sollevare le pietre, disse il medico, C'è il giardino, Bisognerà portarla su fino al secondo piano e poi calarla giù per la scala di sicurezza, E' l'unica maniera, Avremo forza abbastanza, domandò la ragazza dagli occhiali scuri, Il problema non è se avremo o non avremo forze, il problema è se consentiremo a noi stessi di lasciare questa donna qui, Questo no, disse il medico, Allora le forze bisognerà trovarle."

IN A NUTSHELL: Tortuoso e angosciante. Consigliato a chi non ha paura di osservare la nostra società messa a nudo.

VOTO: ⚫⚫⚫⚫⚫


Ci sono dei libri che consiglio sempre e dei quali quando mi viene chiesto perché lo stia consigliando, non trovo mai le parole per spiegarlo.
E dire che tendenzialmente io odio quelli/e che ti dicono:"Lo DEVI leggere" e poi non sanno spiegarti il perché.
Eppure con Cecità mi capita lo stesso. L'urgenza di volerlo condividere, di volerlo consigliare a tutti sorpassa di gran lunga la mia capacità di convincere i miei interlocutori. E questo perché Cecità è un libro estremamente angosciante. Ed è faticoso, sia nella prosa (è pur sempre Saramago) che nell'accettazione di ciò che stai leggendo. Perché si fa una fatica immane a cercare di puntellare da ogni parte la fiducia nell'umanità, a tenere insieme ogni lembo della coperta del patto sociale mentre a ogni pagina lo si vede sfilacciarsi e sparire.

Saramago, in cui riecheggia il realismo magico alla Borges e Garcia Márquez, potrebbe sembrare a prima vista un autore surreale. Le sue trame sono spesso basate su dei sofisticatissimi "Facciamo che..." in cui non si perita di spiegarti il perché le cose stiano così, ma ti chiede una sorta di atto di fede: tu fidati, vai avanti a leggere, vedrai che vado a parare da qualche parte.
Ebbene, in Cecità, Saramago chiude gli occhi al mondo. E ne consegna l'unica possibilità di salvezza alla capacità del consorzio umano di associarsi solidalmente e collaborare per la sopravvivenza di tutti.
Ma cosa accade quando la vita si trasforma in lotta per la sopravvivenza?
Dove può condurre la miseria umana?
Quanti compromessi con la nostra moralità possiamo sopportare, prima di sfiorare l'orrore?

Una città senza nome in un tempo indeterminato.
Un uomo, in macchina, fermo a un semaforo, all'improvviso non vede più.
Il primo cieco.
Una cecità bianca, luminosa, non scura di tenebra che in poche ore comincia a diffondersi come un'epidemia silenziosa senza nessuna idea su come avvenga il contagio.
La messa in quarantena dei contagiati è l'immediata risposta di un governo già cieco, senza saperlo ancora. La scelta ricade su un ex manicomio dismesso, dove la convivenza dei degenti – in costante aumento – si preannuncia un incubo in piena regola. I pochi protagonisti scelti dall'autore come occhi di questa vicenda disturbante, sono letteralmente nelle mani di una donna non colpita dall'epidemia, il perché non ci è dato di saperlo, che però, per proteggere il marito, l'uomo in macchina, il primo cieco ricordato poco sopra, si finge cieca anch'ella, orientando e indirizzando i suoi sfortunati compagni di sventura. Ma poter vedere, in questo mondo che regredisce, significa esser testimoni di brutture che ci piaceva ascrivere esclusivamente ai mentecatti, agli assassini, a coloro che volevano vivere al di fuori del patto sociale e riconoscere invece quelle bassezze e quegli orrori come proprie di ogni essere umano, tenute solo meglio a bada in taluni piuttosto che in altri.
Mentre i viveri e l'acqua cominciano a scarseggiare ovunque e le strade sono ingombre di cadaveri e sporche di liquami di intestini incontenibili, l'umanità va sgretolandosi sotto i colpi dell'istinto ferino che lotta per sopravvivere e l'asticella della conservazione della propria integrità viene spostata sempre più in alto.
Ma Saramago non è consolatorio né assolutorio, il suo scetticismo in merito all'indole umana non può che risolversi in una mera illusione di lieto fine. Ognuno poi ci veda quel che ha bisogno di vederci.

Favola nera che ci tiene in apnea non solo per la prosa che non concede di rifiatare quasi mai, ma per l'inquietudine paranoica in cui ci tuffiamo fin dalle prime pagine senza poter riemergere, questo romanzo crudo e crudele
 è una lunga e tormentata allegoria di una società composta da uomini e donne che hanno perso il contatto con ciò che gli accade attorno, che non hanno tempo di soffermarsi sul dettaglio che permetterebbe di comprendere o empatizzare e già non vedono più, pur vedendo.
E dire che nel 1995 non esistevano ancora gli smartphone!

Leggetelo. E innamoratevi di Saramago e leggete altro e leggete tutto.

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