Back to black

Si sono arrampicati dentro di me, erano due.
E dopo aver dilatato, divaricato, penetrato, hanno chiamato un terzo, solo per guardare, solo per commentare la mia immagine riflessa su quel monitor scuro.
Due sentenze sono scivolate fuori dalle labbra dell'ultimo arrivato, il più crudele. Due mormorii sussurrati alle vostre orecchie, perché non raggiungessero le mie. Due assiomi che hanno ribaltato il paradigma della mia intera esistenza come cinghiate sferzate con la potenza di mille mille braccia, con la fibbia che penetra nella carne, inerme, oscenamente aperta e servizievolmente esposta.
Mi sono data a voi, eravate due e vi ho sentiti arrampicarvi dentro. E avrei sopportato la vostra ruvidità, l'indifferenza e la freddezza con cui mi infliggevate quel dolore che dalla fica mi trapanava direttamente il cervello, perché mentre voi frugavate il centro di questo mio labirinto che non avrei voluto schiudervi, io mi astraevo dal dolore del corpo - che guarisce per primo -, ma non mi aspettavo che il terzo di voi, il più crudele, quello che avete mandato a chiamare quando ormai ero troppo esausta per oppormi, non mi aspettavo che lui potesse toccare quello che voi non eravate nemmeno riusciti a sfiorare.
Lui mi ha guardata, ha scosso il capo e con l'espressione imperturbabile che vi contraddistingue, ha affondato, come verità che colpisce all'improvviso, le due cinghiate meglio assestate di quel quarto d'ora di tortura.
Eravate in due, mi ero esposta a voi e voi mi avete annientata in silenzio.
Lui solo ha parlato. Alla fine. Con tono sbadato, noncurante.
“Rivestiti”

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